Onorevoli Colleghi! - Con la firma del Presidente della Repubblica, è entrata in vigore dal 28 febbraio 2006 la nuova normativa sulle droghe, voluta dal Governo di centrodestra (decreto-legge n. 272 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 49 del 2006).
      È una vera e propria controriforma che fa perno sulla demonizzazione della marijuana, ignorando le evidenze scientifiche: dalla sua equiparazione «morale» alle droghe pesanti, al grido di «la droga è droga», discende l'equiparazione penale con un drastico innalzamento delle pene detentive. Il possesso di qualsiasi sostanza, al di sopra di una soglia quantitativa predefinita in via amministrativa, è considerato spaccio presunto e punito con il carcere, da sei a venti anni. Il furore ideologico si tradurrà in una dilatazione del sistema penitenziario e nel ritorno alla filosofia della «cura e custodia», in ambito terapeutico: le pulsioni moralistiche si saldano così con la logica degli affari, aprendo il varco all'esecuzione penale affidata ai privati. La messa al bando della riduzione del danno disegna un orizzonte autoritario, di negazione della libertà terapeutica e conseguentemente dei diritti dei cittadini consumatori. Infine, gravissime saranno le ricadute dell'inasprimento repressivo sul carcere: ci saranno ulteriore sovraffollamento, più suicidi, più atti di autolesionismo. Tanto più gravi per i tossicodipendenti, che già oggi soffrono la pena aggiuntiva del vedersi negate le cure adeguate.
      L'approvazione del provvedimento è avvenuta forzando consolidate procedure istituzionali, senza dibattito in Parlamento, senza confronto con la grande maggioranza degli esperti e degli operatori.

 

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      La legge viola la Costituzione e il principio di legalità, disprezza il pronunciamento popolare del 1993, cancella le norme sul giusto processo, nega il diritto alla salute, calpesta le autonomie regionali, è sorda alle ragioni della scienza. Una prima conferma viene dalla impugnazione della cosiddetta «legge Fini» davanti alla Corte costituzionale da parte della regione Toscana, della regione Emilia-Romagna e di altre cinque regioni.
      La scelta repressiva appare insensata nonché in aperto contrasto con le tendenze in atto nella gran parte dei Paesi europei sin dagli inizi degli anni '90. L'Europa sceglie, seppure in forme diverse, di spostare il centro delle politiche di controllo sulle droghe dal penale al sociale, in particolare investendo sulla depenalizzazione del consumo personale, sulla distinzione fra droghe leggere e pesanti, sulla riduzione del danno.
      Si deve operare urgentemente perché questa controriforma eserciti i suoi effetti per il più breve tempo possibile e per questo si chiede al nuovo Governo la sua abrogazione immediata, utilizzando lo strumento del decreto-legge. Ma non basta. Occorre imboccare con decisione la strada della riforma, sulla base del progetto di legge già sottoscritto nella scorsa legislatura da oltre cento fra deputati e senatori del centrosinistra.
      Queste osservazioni contenute nel Manifesto Peace on drugs approvato dagli Stati generali delle droghe promossi dall'associazione Forum droghe il 4 marzo 2006 a Firenze, sono confermate dalle indicazioni del Programma de L'Unione (Per il bene dell'Italia. Programma di Governo 2006-2011), che testualmente si riporta:

      «Diritto alla salute e nuovo welfare locale. La priorità di una politica riformatrice (pagine 186-187). Educare, prevenire, curare. Non incarcerare. Per le tossicodipendenze non servono né il carcere né i ricoveri coatti. Alla tolleranza zero bisogna opporre una strategia dell'accoglienza sociale per la persona e le famiglie che vivono il dramma della droga, a partire dalla decriminalizzazione delle condotte legate al consumo (anche per fini terapeutici) e quindi dal superamento della normativa in vigore dal 1990. Occorre un reale contrasto dei traffici e la tolleranza zero verso i trafficanti. È necessario rilanciare il ruolo dei SerT e dei servizi territoriali che in questi cinque anni sono stati sistematicamente penalizzati dai tagli alla spesa sociale; senza imporre un unico modello e salvaguardando il pluralismo delle comunità terapeutiche, queste dovranno essere messe in rete con il servizio pubblico a cui spetta la diagnosi della dipendenza. Vanno sostenuti quanti, con approcci culturali e metodologie differenti, da anni sono impegnati a costruire percorsi personalizzati e perciò efficaci di prevenzione, cura e riabilitazione considerando le strategie di riduzione del danno come parte integrante della rete dei servizi. Il decreto-legge del governo sulle tossicodipendenze deve essere abrogato».

      «Una giustizia penale uguale per tutti (pagine 65-66). Favorire la cura delle tossicodipendenze al di fuori delle strutture detentive; abolire le sanzioni amministrative per chi detiene sostanze stupefacenti per uso personale».

      Si ripresentano quindi la relazione e l'articolato della proposta di legge atto Camera n. 4208, presentata nella scorsa legislatura il 24 luglio 2003, con i necessari aggiornamenti, dovuti all'approvazione della legge n. 49 del 2006 e alla cancellazione delle norme in evidente contrasto con il testo.
      La proposta di legge, per quanto riguarda la parte sanzionatoria, ripropone il testo elaborato nella XIII legislatura da una Commissione tecnica istituita per predisporre un testo di riforma in materia di disciplina degli stupefacenti, coordinata dal magistrato Giuseppe La Greca e con la responsabilità politica dell'allora Sottosegretario alla giustizia, Franco Corleone. La parte sulle misure alternative per i detenuti tossicodipendenti è invece stata curata dal dottor Alessandro Margara, già magistrato di sorveglianza e capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Il coordinamento di questo lavoro è stato del cartello di associazioni denominato

 

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«Dal penale al sociale». Per segnalare la sinergia fra momento istituzionale e movimenti della società, alla conclusione della relazione sull'articolato viene riproposto il testo dell'appello-documento, che ha già raccolto 3.051 adesioni di personalità, operatori e rappresentanti di varie realtà e che è consultabile sul sito «www.fuoriluogo.it».
      L'analisi di quasi sedici anni di applicazione della legislazione in materia di stupefacenti dimostra, come emerso anche nella Conferenza sulle droghe di Napoli del 1997, il fallimento della strategia dell'innalzamento delle pene finalizzato al recupero. Tale strategia, innestata sul sistema giudiziario italiano ha, infatti, finito per produrre solo rigidità insuperabili. La previsione, nell'ipotesi base, di un minimo edittale di otto anni di reclusione per le condotte di semplice spaccio, ha determinato un rilevantissimo innalzamento delle pene da scontare, con migliaia di persone che non possono accedere ad alcuna misura. Un esempio eclatante è quello del caso Merlonghi, risolto poi con la concessione della grazia, ma che dimostra quanta ingiustizia possa derivare da un sistema giudiziario lento e farraginoso sul quale si innestino meccanismi di rigidità nella determinazione della pena. Tra le proposte avanzate per ovviare agli inconvenienti rilevati c'è quella dell'innalzamento dei livelli di pena che consentono l'accesso alle misure alternative; una tale proposta, pur condivisibile negli obiettivi, si traduce in una esaltazione della irrazionalità del sistema, allargando la forbice tra pena inflitta e pena effettivamente scontata, con il rischio di pesanti ripercussioni sul sistema in generale ed in particolare con riferimento al tema della certezza della pena, oggi prepotentemente in discussione. Più razionale appare invece la proposta di adeguare il sistema sanzionatorio in materia di stupefacenti ai livelli edittali medi previsti dal codice penale e dalle leggi speciali. Se si pensa che le pene previste per l'associazione di tipo mafioso raggiungono un massimo di quindici anni per i casi più gravi (la pena prevista per i promotori di organizzazioni di tipo mafioso armate va da cinque a quindici anni di reclusione) o che la pena prevista per il delitto di violenza sessuale - pur elevata nel 1996 - è, nel massimo, di dieci anni di reclusione, che dieci anni di reclusione è la pena massima anche per i delitti di rapina e di estorsione, mentre cinque anni di reclusione è la pena massima per la corruzione e otto anni è il massimo per la concussione, ben si vede come una pena da otto a venti anni per l'ipotesi di spaccio di stupefacenti sia sproporzionata, velleitaria e ingiusta.
      Di qui la proposta di rivedere anche i livelli sanzionatori, lasciando pene elevate solo per le ipotesi di «traffico» di stupefacenti e di associazioni criminali, per le quali sono previste aggravanti speciali.
      L'intervento sull'articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 può essere l'occasione anche per un miglioramento sul piano tecnico della normativa penale in materia, che nel 1990, sulla spinta emozionale che accompagnò il varo del testo unico, fu scritta ricopiando il testo delle convenzioni internazionali in materia, con un risultato tecnicamente poco limpido: l'articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 enumera ben 22 fattispecie penali, spesso con sinonimi, ripetizioni e ridondanze. Una tale tecnica normativa è consona ad un trattato internazionale destinato ad essere sottoscritto da Paesi con sistemi giuridici molto diversi tra loro (in particolare si pensi ai Paesi di common law), ma non appare rispondente ai canoni di legalità in materia penale richiesti dall'articolo 25 della nostra Costituzione.
      Oltre alla riscrittura dell'articolo 73, si propone di eliminare ogni ipotesi di sanzione per le condotte di consumo. Da un lato tutti riconoscono che con il referendum del 1993 il sistema sanzionatorio previsto per le ipotesi di consumo ha perso in gran parte la sua ragione di essere. Né è pensabile un intervento che vada contro la volontà referendaria. Dall'altro lato, cosa più importante, l'esperienza di questi anni ha dimostrato che le sanzioni amministrative per i consumatori di sostanze rappresentano una inutile afflizione nei
 

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confronti di soggetti che avrebbero bisogno di aiuto e di sostegno e non certo di una ulteriore spinta verso l'emarginazione e il delitto. Sospendere la patente ad un consumatore di droga (si badi: non a chi sia colto alla guida in stato di alterazione da sostanze) significa soltanto ridurre le sue possibilità di lavoro e di vita e aumentare il rischio di commissione di reati (ad esempio, proprio la guida senza patente) e, quindi, maggiore emarginazione ed aumento del rischio criminale.
      Al fine di fornire chiarezza agli operatori sulla liceità degli interventi di riduzione del danno si propone infine l'inserimento di una norma che indica la riduzione del danno tra gli obiettivi degli enti locali e degli enti ausiliari e, a titolo meramente esemplificativo, elenca alcuni degli interventi sicuramente riconducibili a tale obiettivo e sui quali si sono manifestati dubbi in sede operativa.

      1) La legge n. 162 del 1990 in materia di disciplina degli stupefacenti ha manifestato una notevole fiducia negli aspetti repressivi, dando particolare forza alle pene previste per i vari reati. Né si è tenuto conto della condizione di tossicodipendenza nella quale si muovevano e si muovono molti dei condannati. E così i tossicodipendenti hanno trovato una risposta alla loro condizione soprattutto nel carcere e solo secondariamente in interventi idonei ad incidere su tale condizione.
      A seguito, però, del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1993, n. 171, emanato in applicazione dell'esito del referendum del 18 aprile 1993, si è avuta la depenalizzazione delle ipotesi di uso personale e detenzione per uso personale, che erano sanzionate dal nuovo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
      Da questo, però, devono derivare due linee di intervento:

          a) la prima è quella di ribadire la non punibilità dell'uso di stupefacenti e delle condotte connesse e di trarre da questo le conseguenze logiche anche sul piano degli interventi sanzionatori, anche se non penali: cioè sulle sanzioni amministrative;

          b) la seconda è quella di una profonda revisione del sistema sanzionatorio, nel quale si dia attenzione particolare alla condizione di tossicodipendenza degli autori dei reati.

      La prima linea di intervento sarà visibile nelle modifiche normative che si propongono di seguito.
      Quanto alla seconda linea di intervento, è da rilevare che l'impianto sanzionatorio della legge n. 162 del 1990, di cui il decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 1993 citato era attuazione, è però rimasto inalterato. È rimasto, cioè, l'impianto sanzionatorio di una legge fortemente segnata dal proposito di sanzionare anche il solo uso (rendendo punibile ogni detenzione di sostanza superiore alla dose media giornaliera) e di colpire pertanto (penalmente e non solo) la condizione di tossicodipendenza. Intervenire sulle pene è dunque doveroso anche in ossequio ai princìpi che informavano i quesiti referendari che hanno vinto nel Paese.
      E si può aggiungere, senza timore di essere smentiti, che l'entità delle pene inflitte per reati relativi agli stupefacenti gioca un ruolo tutt'altro che secondario sull'attuale sovraffollamento delle carceri, responsabile della difficile gestione degli istituti di pena e della scarsa corrispondenza di questi ai princìpi costituzionali e alla attuazione dei fini di riabilitazione che la pena stessa dovrebbe avere. Eppure, è veramente difficile sostenere che una carcerazione, specie se lunga, sia utile per il superamento della tossicodipendenza, quando la ipotesi più verosimile e condivisa è che la stessa condizioni tutti gli elementi di base della dipendenza, rafforzando frustrazioni, bruciando le alternative di socializzazione, dando nuovo spazio al desiderio della sostanza, fornendo occasioni, nella comunità di vita con altre persone nelle stesse condizioni, per la ulteriore ripresa delle condotte criminose utili al mantenimento della dipendenza. Si tenga conto che la quota di detenuti tossicodipendenti in carcere è di circa il 30 per cento.
      Esiste, d'altronde, un problema di congruenza della pena, nella sua entità, ai

 

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princìpi costituzionali. Va ricordata la sentenza costituzionale n. 313 del 1990, che ha portato alla modifica dell'articolo 444 del codice di procedura penale, nella parte in cui richiede che, in caso di patteggiamento sulla pena, la stessa sia «congrua», ovvero adeguata ai fini propri della pena medesima: congrua, cioè, a dare uno spazio temporale concreto utile a realizzare un percorso riabilitativo proporzionato al reato commesso. E va chiarito che non vi è solo una congruenza circa l'entità minima della pena, ma anche circa l'entità massima, che non può essere tale da rimettere ad un futuro incerto e remoto la possibilità di orientare l'esecuzione penale alla progettazione e allo sviluppo di percorsi di riabilitazione e di inclusione sociali, che sono quelli voluti dall'articolo 27 della Costituzione.
      Si veda, al riguardo, la pena inflitta per la violazione più comune, quella dell'articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, la cui misura, calcolata anche la frequente ricorrenza delle numerose aggravanti previste dalla stessa norma e dall'articolo 80, arriva a livelli estremamente elevati, anche nei minimi. Analogamente è a dirsi per la fattispecie criminosa dell'articolo 74, i cui minimi, anche senza aggravanti, sono elevatissimi e, con le aggravanti, superiori ai limiti minimi previsti per i più gravi reati contro la persona.
      Si è intervenuti anche sulla entità delle pene pecuniarie. Le stesse sono state misurate nel testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 sugli elevati introiti che il traffico illecito di stupefacenti notoriamente procura. È però un dato pacifico che, in primo luogo, lo spaccio generalmente colpito è quello piccolo e, in secondo luogo, così come tali introiti si formano, altrettanto rapidamente si dissolvono, tranne che non si sia in presenza di organizzazioni particolarmente attrezzate sul piano finanziario e criminale. Comunque, i più frequenti destinatari delle condanne continuano ad essere i tossicodipendenti, che dissipano in tempi velocissimi ciò che incassano e che molto spesso investono i loro introiti nel pagamento dei debiti contratti per gli acquisti precedenti. Ciò che l'esperienza dimostra è che la quasi totalità di queste elevate pene pecuniarie è convertita in sanzioni sostitutive per la insolvenza degli interessati. Di qui il ridimensionamento, che si propone, anche delle pene pecuniarie.
      E, in tale situazione normativa, come già osservato, non vi è alcuna indicazione differenziale per coloro che partecipano alle condotte criminose sotto la spinta della tossicodipendenza, a riprova della voluta ignoranza di questa condizione e della fiducia riposta nella unica risposta repressiva. Le aperture a possibili misure alternative, correlate a percorsi riabilitativi dalla dipendenza, arriveranno in fase esecutiva, ma, in quel momento, l'entità delle pene inflitte potrà essere tale da impedire l'ammissibilità a tali misure o da ritardarla a dopo una parziale e non breve espiazione carceraria.

      2) La prima linea di intervento indicata al numero 1) esplicita l'esito referendario e afferma la non punibilità dell'uso e delle condotte connesse.
      Inoltre, sottrae al sistema sanzionatorio, anche se solo amministrativo, gli interventi oggi contenuti nell'articolo 75 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
      Si è inserita anche una modifica che interessa l'intervento medico per i tossicodipendenti malati, che risulta precluso da una parte dell'articolo 43, commi 5-bis e 5-ter, parte che viene soppressa.

      3) La revisione del trattamento sanzionatorio previsto dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 si muove su tre linee, la terza delle quali riguarda la fase della esecuzione della pena:

          a) la prima è quella di un ridimensionamento generale delle sanzioni previste dalla legge;

          b) la seconda è quella di una particolare disciplina nei confronti delle persone tossicodipendenti;

 

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          c) la terza riguarda la normativa sulla esecuzione, che deve essere rivolta in ogni caso a rendere possibili soluzioni riabilitative extracarcerarie rispetto a quelle detentive.

      4) Si tratta, infine, di intervenire in due materie che stanno a monte e a valle del sistema sanzionatorio di cui ci si sta occupando.
      La prima è quella di una verifica delle tabelle previste dall'articolo 14 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, per accertare se le stesse risultino valide e attuali.
      La seconda riguarda la concreta previsione delle risorse necessarie per rendere forte e completo il sistema organizzativo di intervento sulle dipendenze in modo che sia realmente capace di offrire occasioni di riabilitazione e di inclusione sociali. È evidente che se si riduce la risposta repressiva e si rilancia quella di riabilitazione e di recupero sociali, la validità di una tale scelta si gioca sulla efficienza del sistema organizzativo ed operativo di tale seconda risposta.
      A questo riguardo:

          a) dovranno essere concentrate tutte le risorse presso la regione, quale ente responsabile del Servizio sanitario nazionale in ciascun territorio: anche quelle attualmente assegnate ad organi centrali dovranno, pertanto, essere distribuite regionalmente;

          b) i servizi locali sulle dipendenze dovranno essere dimensionati sui reali bisogni dei singoli territori e articolati in gruppi operativi multiprofessionali, in conformità delle migliori esperienze attuate;

          c) sia in attuazione della previsione dell'articolo 96, comma 3, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, sia con riferimento alle previsioni del decreto legislativo n. 230 del 1999 (confermate dalle sperimentazioni di alcune regioni, come la Toscana), i servizi per le tossicodipendenze dovranno essere organizzati allo stesso livello anche negli istituti di pena: nonostante la riduzione della risposta penale in termini carcerari, sarà sovente dal carcere che si dovranno fare ripartire i percorsi riabilitativi. In questo specifico settore si è prevista l'equiparazione degli stranieri ai cittadini per l'accesso ai servizi.

Modifiche normative proposte, secondo i criteri che precedono.

A) Le modifiche del sistema sanzionatorio.

      È utile un accenno più specifico alle singole modifiche proposte.
      Per l'articolo 43 non occorre aggiungere altro a quanto già indicato.
      Con le modifiche dell'articolo 73 si agisce su più piani, come accennato in precedenza.
      È modificata la previsione normativa del delitto di cui all'articolo 73, attualmente distinto in una serie interminabile di fattispecie corrispondenti, che vengono ridotte ad una sola, che si ritiene si rinvenga costantemente in ognuna delle fattispecie precedenti. Nel contempo si esplicita che non è punibile né l'uso delle sostanze, né la detenzione per l'uso e si richiede, pertanto, che la detenzione punibile è quella posta in essere al fine di cedere la sostanza a terzi per ricavarne un profitto. Questo resta vero anche se si è intervenuti sugli aumenti di pena conseguenti alla applicazione delle aggravanti.
      Le modifiche intervenute nei vari commi contengono una generale revisione delle pene, con una sensibile riduzione delle stesse. Ciò nonostante resta elevata la pena massima prevista nel comma 1, anche per il possibile apporto delle numerose circostanze aggravanti previste sia dall'articolo 80 sia dallo stesso articolo 73. Così che non vi è alcun dubbio che vi è spazio all'applicazione di sanzioni molto severe quando il caso presenti una particolare gravità.
      Si è applicata, invece, una linea sanzionatoria specifica e attenuata per i tossicodipendenti che si rendono autori dei

 

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reati previsti dalla norma. Tre gli interventi:

          1) le sanzioni applicate ai tossicodipendenti sono quelle previste per le ipotesi di reato di lieve entità;

          2) si è aperta la possibilità alla valutazione di irrilevanza del fatto, nei casi di lieve entità, nei quali l'applicazione della pena può intralciare lo sviluppo di interventi riabilitativi;

          3) infine, si è introdotto (riferendoci, come per la irrilevanza del fatto, ad istituti previsti dalla procedura penale minorile) l'istituto della messa alla prova, finalizzato allo svolgimento di un programma riabilitativo dalla tossicodipendenza.

      Sono previsti due articoli aggiuntivi specifici: il 73-bis sul traffico di sostanze stupefacenti e il 73-ter, sulla sospensione del processo e sulla messa alla prova per chi intende intraprendere un programma di recupero dalla tossico dipendenza.
      La modifica dell'articolo 74 è volta ad evitare l'inflazione verificatasi nella applicazione della norma, per la quale è spesso decisiva, in presenza della genericità della previsione normativa, la scelta iniziale della contestazione da parte del pubblico ministero richiedente. Si sono, quindi, introdotti elementi di specificazione della fattispecie punibile, cercando di farla corrispondere alla figura vera e propria del narcotraffico. Gli articoli 75 e 75-bis sono abrogati.
      Si sono previsti anche interventi specifici su altre norme.
      La prima è quella dell'articolo 79, per il quale si sopprime la seconda ipotesi (cioè, il consenso ad adibire), inevitabile fonte di gravi difficoltà di accertamento e sovente condizionata da situazioni di intimidazione o di occasionali emergenze, che ne ridimensionano gravità e significato.
      Nel quadro del generale ridimensionamento delle pene previste attualmente, si opera, inoltre, una diminuzione di quelle di cui alla norma in questione.
      La seconda è quella dell'articolo 83. Si intende sottolineare che, se il medico rilascia prescrizioni relative a sostanze stupefacenti o psicotrope ad un tossicodipendente con giustificazioni terapeutiche (esistenti nella letteratura clinica in materia), la terapeuticità delle stesse non può essere negata.
      La terza è quella dell'articolo 86. Uniformemente alle indicazioni della Corte costituzionale (sentenza n. 58 del 1995), si evidenzia la natura di misura di sicurezza della espulsione dello straniero e la esigenza che la esecuzione della stessa sia sottoposta all'accertamento della pericolosità sociale del condannato. Nel contempo si prevede che, in caso di revoca di tale misura, non possano essere operati interventi di carattere amministrativo, contrastanti con una pronuncia giudiziaria, emessa a seguito di regolare procedura giurisdizionalizzata. Si sopprime poi quella parte della norma che prevede il provvedimento amministrativo del prefetto, emesso con una ingiustificata anticipazione dell'esito del procedimento penale.

B) Le modifiche nel sistema della esecuzione della pena.

      La modificazione degli articoli 90 e seguenti si muove su due piani.
      Il primo riguarda la revisione del sistema delle due misure, previste dagli articoli 90 e 94, della quasi totale prevalenza della seconda e del modestissimo ricorso alla prima. L'ammissione a questa è stata disposta solo in rari casi dai tribunali di sorveglianza, anche in ragione della mancanza di un regime esecutivo, che individuasse organi responsabili di controllo e di sostegno.
      Si è ritenuto, allora, di distinguere la portata delle due norme, sviluppando una differenza già esistente fra le stesse, riservando l'articolo 90 a coloro che hanno già concluso positivamente un programma terapeutico e socio-riabilitativo e l'articolo 94 a coloro che hanno in corso o intendono sottoporsi a un tale programma. Si è operata anche una revisione delle norme processuali.
      Il secondo piano di intervento riguarda un aspetto su cui si è concentrata l'attenzione anche durante le conferenze nazionali sugli stupefacenti: la situazione di

 

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coloro che, sovente per il concorso di pene inflitte con più sentenze, devono espiare pene superiori ai limiti di ammissibilità alle misure alternative.
      Il ridimensionamento delle pene applicabili nella materia in esame dovrebbe evitare, in avvenire, le situazioni attuali di eccessivo carico delle pene complessive da eseguire e la conseguente difficoltà di accesso degli stessi alle misure alternative alla detenzione. Ciò non toglie che situazioni di pena eccedente la ammissibilità alle misure potranno egualmente presentarsi: sia per chi è già condannato con il regime precedente delle pene; sia per chi, comunque, pur con il nuovo sistema sanzionatorio, per la molteplicità dei fatti e il frazionamento dei processi, che caratterizzano la «carriera penale» dei tossicodipendenti, si troverà dinanzi alla espiazione di pene concorrenti molto elevate, oltre i limiti di ammissibilità alle misure alternative. Si deve cercare di risolvere tale problema.
      Uno strumento che viene usato è la grazia parziale, che riduce le pene nei limiti in cui è consentita la ammissione alle misure alternative. Lo strumento della grazia ha però, per il suo carattere discrezionale e, ovviamente, «grazioso», e per la appartenenza ad un organo quale il Presidente della Repubblica, una utilizzabilità quantomeno incerta.
      Si è pensato, per la parte di pena che supera il limite di ammissibilità alla misura alternativa, ad una esecuzione specifica con una misura avente particolari caratteristiche: quella, in particolare, di avere carattere riparativo della aggressione al sistema normativo, posta in essere dalla commissione del reato o dei reati. Si parla del cosiddetto «programma di reintegrazione sociale», che consiste nello svolgimento di lavoro non retribuito di pubblica utilità.
      La norma messa a punto qui di seguito chiarisce che il programma di reintegrazione sociale deve essere attuato nel quadro della realizzazione di un programma terapeutico riabilitativo, adeguatamente strutturato con un inserimento in una comunità che lo attui: in tal modo accanto al programma di reintegrazione sociale si attuerebbe, comunque, quello volto al superamento della tossicodipendenza, che resta il problema centrale della esperienza del soggetto.
      Si è anche ritenuto che le ragioni di introduzione di questa norma valgano anche nel caso di cui all'articolo 90, così come modificato. In tale caso, però, la misura consisterà nella sola applicazione del programma di reintegrazione sociale, pur sempre sviluppato con l'inserimento presso una comunità.
      Riportata, attraverso la esecuzione di tale misura, la pena nei limiti di ammissibilità alle misure alternative già previste, può subentrare la applicazione di queste. Si possono avere riserve su un'eccessiva vanificazione della pena, che si realizza per tale via, ma si deve tenere presente che una previsione del genere dovrebbe essere limitata agli specifici casi di persone che, nel periodo della tossicodipendenza «attiva», hanno collezionato processi e condanne, attingendo a pene complessive che sono, nella sostanza, sproporzionate al danno sociale che hanno prodotto; soggetti che, ovviamente, abbiano dimostrato e dimostrino la loro volontà di affrancarsi dalla dipendenza.
      Nel rivedere il regime degli interventi alternativi alla detenzione per i tossicodipendenti e alcooldipendenti, si è cercato di tenere presenti alcune situazioni di particolare disagio, fra le quali quella degli stranieri, per prevederne, comunque, la presa in carico da parte dei servizi pubblici.
      Infine si è abrogata la previsione del comma 6 dell'articolo 96 in quanto interferisce negativamente sulla presa in carico dei soggetti interessati da parte dei servizi per le tossicodipendenze competenti. La copertura finanziaria, attualmente prevista per l'amministrazione penitenziaria, passa ai servizi per le tossicodipendente predetti.
      L'articolo 91 è sostituito.
      L'articolo 92 è sostituito.
      L'articolo 93 è abrogato.
      L'articolo 94 è modificato.
      Dopo l'articolo 94 è introdotto l'articolo 94-bis.
      All'articolo 96, i commi 6-bis e 6-ter sono abrogati.
 

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      Le modifiche all'articolo 113 sono volte all'introduzione di misure di riduzione del danno, mentre l'articolo 113-bis reca disposizioni atte a promuovere la sperimentazione di programmi e interventi socio sanitari innovativi circa il consumo di droghe, con particolare riferimento all'istituzione delle «drug consumption room», ovvero locali ove è possibile fare uso di sostanze in condizioni igieniche controllate, riducendo il rischio di contagio e overdose letale, e al «pill testing», ovvero un sistema di allerta rapido basato sull'analisi delle sostanze presenti in strada.
      L'articolo 127 sulle risorse per gli interventi in materia di dipendenze da sostanze stupefacenti o psicotrope è modificato.
      L'ultimo articolo della proposta di legge modifica l'articolo 47 della legge n. 354 del 1975 in materia degli effetti dell'esito positivo del periodo di prova di affidamento dei condannati ai servizi sociali.
      Questi interventi riformatori, equilibrati e largamente condivisi hanno richiesto il ripristino delle norme originarie del testo unico, da ultimo modificate dalla «legge Fini-Giovanardi». Per questo si sono ripristinati gli articoli 13, 14, 26, 35, 38, 40, 42, 43, 45, 60, 61, 62, 63, 65, 66, 78, 79, 89, 94, 96, 97, 114, 116, 117, 120, 122.

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      Come annunciato nella premessa si riproduce il testo del documento «Contro la nuova crociata punitiva sulle droghe» che vede come promotori Stefano Anastasia (presidente associazione Antigone), Clara Baldassarre (Dipartimento dipendenze ASL Napoli 1), Roberta Balestra (Dipartimento dipendenze Trieste), Franca Ongaro Basaglia (presidente Fondazione Basaglia), Beatrice Bassini (SERT ASL Bologna nord), Tom Benettollo (presidente ARCI nazionale), Giuseppe Bortone (responsabile per le tossicodipendenze CGIL), Giovanni Cannella (corte d'appello Roma), Giuseppe Cascini (procura della Repubblica di Roma), Daniela Cerri (Parsec), Luigi Ciotti (presidente Gruppo Abele), Claudio Cippitelli (Parsec), Maria Grazia Cogliati (Distretto sanitario ASL 1 Trieste), Franco Corleone (presidente Forum droghe), Paolo Crocchiolo (Forum droghe), Sergio Cusani (associazione Liberi), Gianni De Giuli (MDMA Bologna), Cecilia D'Elia (consigliere provinciale Roma), Giuseppe Dell'Acqua (Dipartimento salute mentale Trieste), Giovanni Diotallevi (giudice Corte di cassazione), Dario Fo (premio Nobel), Jacopo Fo (scrittore), Andrea Gallo (presidente Comunità S. Benedetto al Porto), Maria Grazia Giannichedda (università di Sassari), Leopoldo Grosso (Gruppo Abele), Paolo Jarre (Dipartimento dipendenze ASL 5 Piemonte), Paolo Lamarca (Lilacedius), Betty Leone (segretaria SPI), Gad Lerner (giornalista), Franco Maisto (Procura generale di Milano), Filippo Manassero (presidente LILA nazionale), Luigi Manconi (presidente associazione A Buon Diritto), Alessandro Margara (presidente Fondazione Michelucci), Toni Muzi Falconi (Methodos), Mauro Palma (Comitato europeo per prevenzione tortura), Ignazio Juan Patrone (magistrato addetto alla Corte costituzionale), Livio Pepino (presidente Magistratura Democratica), Morena Piccinini (segretaria CGIL nazionale), Anna Pizzo (giornalista), Aldo Policastro (procura della Repubblica di Napoli), Edo Polidori (SERT Faenza), Franca Rame (attrice), Susanna Ronconi (Rete «La libertà è terapeutica»), Achille Saletti (presidente associazione Saman), Ersilia Salvato (presidente Centro Riforma Stato), Rita Sanlorenzo (tribunale di Torino), Nunzio Santalucia (SERT di Pisa), Fabio Scaltritti (Comunità S. Benedetto al Porto), Sergio Segio (associazione Società Informazione), Carlo Sorgi (tribunale di Forlì), Chicco Testa (Senlis Council), Stefano Vecchio (Dipartimento dipendenze ASL 1 Napoli), Grazia Zuffa (Fuoriluogo):

      «Il vicepremier Fini, parlando al summit dell'ONU sulla droga di Vienna nella primavera del 2003, ha di recente esposto l'intenzione del governo di rivedere la legge antidroga del '90, reintroducendo alcune norme abolite dal pronunciamento popolare 1993.
      Fallito il tentativo attuato nel 2002 attraverso la modifica del decreto n. 444 del 1990 - contro cui le regioni hanno vinto un ricorso - il governo si accinge ora a varare una vera e propria controriforma,

 

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che ruoterà attorno alla annunciata riproposizione della dose media giornaliera (ribattezzata "dose massima consentita") e l'inasprimento del trattamento penale per le droghe leggere, in nome della loro "equiparazione" alle droghe pesanti. La revisione della normativa penale è l'ultimo atto di una campagna ideologica del "pugno duro" contro le droghe e i consumatori, caratterizzata dall'attacco alla riduzione del danno e ad un sistema dei servizi con offerte terapeutiche differenziate, attacco già concretizzatosi nel citato decreto 444.
      La svolta punitiva del governo è particolarmente grave:

          in primo luogo perché ignora i danni delle norme che si vorrebbero reintrodurre, già sperimentati prima del referendum. Ricordiamo che la dose media giornaliera (quale discrimine quantitativo "rigido" per distinguere il consumo dallo spaccio) suscitò perplessità già durante la discussione parlamentare nel decennio scorso. È chiaro che una determinazione quantitativa unica per tutti i consumatori non può non essere arbitraria, e perciò iniqua. Il suo effetto criminogeno è evidente, stante le dinamiche del mercato illegale, che spesso portano i consumatori ad approvvigionarsi di quantità di droga ben superiori a quelle dell'immediato consumo individuale. Del resto, la stessa compagine che aveva varato la legge del '90 fu costretta a intervenire d'urgenza pochi mesi dopo per alleggerire l'impatto repressivo della legge, dopo che diversi consumatori (anche di droghe leggere) si erano uccisi in carcere dove erano detenuti con l'accusa di spaccio: non erano spacciatori, semplicemente erano stati trovati in possesso di quantità superiore alla dose media giornaliera;

          in secondo luogo, a una maggiore penalizzazione del consumo si accompagna, come più volte affermato da esponenti governativi, il dilatarsi del sistema penitenziario e la sua egemonia su quello terapeutico e preventivo: ci saranno più carceri (magari privatizzate, come dimostra il progetto di "appaltare" la casa lavoro di Castelfranco Emilia alla comunità di san Patrignano) e le alternative alla detenzione saranno vincolate a forme di "cura" coatta da svolgersi all'interno di un sistema di comunità terapeutiche che - oltre a convogliare su di sé ingenti risorse pubbliche sottratte ad altri e diversificati interventi - saranno il veicolo, disciplinare ben più che terapeutico, della diffusione capillare e amplificata dell'ombra lunga della dimensione carceraria e penale sul fenomeno sociale del consumo di droghe. Corollario drammatico di questa impostazione, il rilancio governativo del trattamento sanitario obbligatorio anche per i tossicodipendenti; per giunta, non solo sui consumi davvero problematici, ma anche su quelli occasionali e ricreativi di tanti giovani, destinati ad essere criminalizzati e patologizzati.
      Non solo, ma i duri attacchi dei mesi scorsi portati alle politiche dei servizi pubblici, l'enfatizzazione ideologica degli interventi drug free indipendentemente dalle preferenze e scelte espresse dagli utenti e viceversa la demonizzazione di altri trattamenti, a cominciare da quelli farmacologici e dagli interventi di riduzione del danno, nonostante l'evidenza della loro efficacia: tutto questo disegna un orizzonte preoccupante, autoritario e moralistico, di negazione della libertà e pluralità terapeutica, basata sul rispetto dei diritti del cittadino consumatore e sull'evidenza scientifica dei trattamenti;

          in terzo luogo, questa scelta appare insensata non fosse altro perché in aperto contrasto con le tendenze che la gran parte dei Paesi europei hanno seguito dagli inizi del '90 ad oggi. Questi Paesi hanno infatti scelto, in forme diverse, di spostare il centro delle politiche di controllo delle droghe dal penale al sociale, in particolare investendo sulla riduzione del danno (sia generalizzando le pratiche più consolidate, sia sperimentandone di nuove). Così, mentre Fini annunciava la svolta repressiva, nelle stesse ore, al summit di Vienna, i rappresentanti dei governi di Regno Unito, Francia, Germania, Portogallo, Belgio, Olanda, Irlanda, Svizzera hanno menzionato

 

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la riduzione del danno come uno dei pilastri della loro politica antidroga.
      Quanto alle riforme legislative, nella gran parte dei Paesi europei queste vanno in direzione della depenalizzazione del consumo personale e della distinzione fra droghe leggere e pesanti: si pensi al Regno Unito che ha di recente "declassificato" la canapa (spostandola cioè in una tabella con sostanze a minor rischio farmacologico) in ossequio ai suggerimenti del proprio consiglio scientifico consultivo sulle droghe; alla Svizzera che sta per varare un'analoga riforma; mentre il rapporto Malliori, approvato nel febbraio dal Parlamento europeo, oltre a raccomandare all'Unione europea il rafforzamento dei servizi a bassa soglia, chiede esplicitamente di riclassificare le droghe, riconoscendo la minore pericolosità della canapa. Inoltre, il governo vorrebbe operare una scelta in aperto disprezzo delle indicazioni emerse in ben tre Conferenze governative sulle droghe: da quella di Palermo del '93, che aveva sancito l'introduzione della riduzione del danno; a quella di Napoli del 1997, che aveva proposto di procedere ulteriormente sulla via della depenalizzazione del consumo; a quella di Genova del 2000, che aveva riconfermato questi indirizzi, in più suggerendo, per bocca dell'allora Ministro Umberto Veronesi, la via di una maggiore tolleranza della canapa, in nome delle evidenze scientifiche;

          infine, non si può sottovalutare e sottacere il tremendo effetto che un ritorno indietro legislativo ante-1993 produrrà inevitabilmente sulle carceri. Vale a dire: un ulteriore sovraffollamento in una situazione già oggi intollerabile ed esplosiva, con il drammatico corollario di suicidi e atti di autolesionismo; un aggravio della situazione della sanità penitenziaria, già ora in uno stato gravissimo di abbandono, a causa del suo mancato passaggio al sistema sanitario nazionale e dei pesantissimi tagli di bilancio operati nelle ultime leggi finanziarie; una ulteriore difficoltà nell'accesso al circuito delle misure alternative, già da tempo rallentato, quando non inceppato, a causa delle carenze di organici relativamente a psicologi, educatori, assistenti sociali, magistrati di sorveglianza e personale penitenziario.

      Contro questa controriforma autoritaria e priva di ogni serio fondamento di evidenza ed esperienza, è importante ricordare che dal referendum del 1993 a oggi, la diversificazione dei servizi, la crescita professionale e la maturazione degli operatori (sia del pubblico che del privato sociale), l'adeguamento delle stesse comunità ai mutati bisogni degli utenti, la sperimentazione di iniziative di prevenzione mirata, le pratiche di riduzione del danno e l'implementazione di nuove strategie più articolate hanno permesso di raggiungere alcuni obiettivi fondamentali:

          l'emersione del sommerso e il nuovo coinvolgimento di persone non raggiunte o abbandonate dai servizi;

          la diminuzione significativa del numero delle overdose;

          la forte diminuzione della trasmissione delle patologie correlate tra gli assuntori di sostanze per via endovenosa (significativo il calo dei pazienti sieropositivi e in controtendenza rispetto al resto della popolazione);

          l'aumento del numero delle persone trattate dai servizi pubblici e seguite dagli operatori con interventi personalizzati;

          maggiore collaborazione tra servizi pubblici e privati con la realizzazione di strategie condivise e il rilancio della centralità del territorio e delle sue reti;

          una maggiore consapevolezza sui rischi e una più diffusa conoscenza degli effetti delle sostanze soprattutto tra la popolazione giovanile;

          possibilità di riabilitazione alternativa (seppur drammaticamente sottoutilizzata) da parte dei detenuti con dipendenze;

 

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          risposte più adeguate e diversificate ai comportamenti d'abuso (alcool, tabacco, e altro);

          superamento delle barriere tra servizi e persone con una maggiore presenza di operatori sulle strade, nei centri a bassa soglia e nei luoghi di consumo.

      Tutto questo, in moltissimi casi, è stato possibile grazie alla serietà e alla determinazione di migliaia di operatori che nel campo delle dipendenze hanno saputo superare le barriere ideologiche, verificarsi scientificamente e proporre strategie innovative con una attenzione concreta alla modificazione dei consumi e dei bisogni dei consumatori e uno sguardo attento alle innovazioni già in corso di sperimentazione in altri Paesi.
      Questo patrimonio di esperienza e di risultati non va disperso e non va sacrificato sull'altare dell'ideologia di governo e delle lobbies che lo sostengono.
      Certo, esistono poi non pochi nodi problematici che non vanno sottovalutati e con i quali ci stiamo misurando da tempo: il crescente aumento della popolazione carceraria con reati direttamente o indirettamente legati alle sostanze; i tagli drastici ai budget della ASL; la difficoltà di approfondire in tempo reale le conoscenze sulle sostanze circolanti; la necessità di tutela della salute e della qualità della vita sociale dei consumatori attivi, a prescindere dalle loro scelte individuali; l'unificazione del Fondo nazionale lotta alla droga nella legge n. 328 del 2000 con conseguente incapacità di diversi enti locali di investire in nuove sperimentazioni; il consolidamento di politiche che tendono più a gestire l'esistente che a promuovere nuove strategie, con la conseguente frustrazione degli operatori e del loro ruolo all'interno dei servizi; un processo di privatizzazione che si presenta rischioso a fronte di criteri di accreditamento che in molte regioni non garantiscono qualità, controllo, adeguatezza, rispetto dei bisogni e pluralismo dell'offerta.
      Rispetto a questi limiti, sentiamo la forte e inderogabile necessità di fare un punto, anche rilanciando proposte di adeguamento della normativa attuale, nel solco di alcune scelte condivise a livello europeo:

          completa depenalizzazione di tutte le condotte attinenti al consumo individuale, compresa la cessione gratuita e la coltivazione a uso personale; revisione delle sanzioni amministrative più discriminatorie e abbassamento generale delle pene previste nella legge del '90, fra le più alte d'Europa. Questi indirizzi erano peraltro già previsti in uno schema di disegno di legge ("proposta La Greca"), predisposto dal Ministero della giustizia nella scorsa legislatura;

          possibilità di utilizzo medico dei derivati della canapa;

          consolidamento dei budget aziendali pubblici per le dipendenze, con una identificazione che risponda realmente ai bisogni delle persone e dei servizi;

          possibilità di effettuare in tempo reale analisi chimiche su campioni di sostanze circolanti in Italia con il conseguente miglioramento delle pratiche di prevenzione;

          garanzia e facilitazione dell'accesso a terapie farmacologiche e sostitutive, anche attraverso una "normalizzazione" della somministrazione con la collaborazione delle farmacie, dei medici di base, delle strutture private accreditate e sotto il coordinamento dei Ser.T.;

          identificazione di una quota vincolata del Fondo sociale nazionale (legge 328) che rimanga riservata ai servizi pubblici e privati per le dipendenze;

          consolidamento e "messa a regime" degli interventi - pubblici e privati - che hanno superato con risultati positivi la fase di sperimentazione, e che possano passare "da progetti a servizi" all'interno della programmazione aziendale ed extra-aziendale;

          favorire la dimissione dalle carceri di tutti i detenuti con problemi legati all'uso delle sostanze, riconoscendo anche

 

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i trattamenti alternativi sul territorio, e possibilità di equiparare pienamente il trattamento intramoenia a quello che si effettua all'esterno, dagli strumenti di profilassi e prevenzione ai trattamenti farmacologici, psicologici e sociali negli istituti di pena.

      Queste proposte derivano dall'esperienza e hanno come obiettivo quello di migliorare ulteriormente la qualità dei servizi e delle prestazioni erogate, tutelare la salute della popolazione dipendente e di quella generale, favorire una prevenzione mirata anche ai più giovani, diminuire la sofferenza dei detenuti ed evitare il carcere per migliaia di giovani, sperimentare nuove pratiche con una attenzione rivolta alle politiche di altri Paesi, evitare la frustrazione dei tanti operatori impegnati e consentire loro una crescita professionale all'interno di servizi all'avanguardia ed efficaci.
      Di fronte alla minaccia di una controriforma che aumenterebbe lo stigma sociale, la colpevolizzazione e la sofferenza ancora oggi imposta da un sistema sociale e legislativo inadeguato, non intendiamo limitarci alla denuncia e alla difesa dello status quo, ma vogliamo proporre un salto di qualità per realizzare nuove politiche di inclusione sociale».

 

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